C’è qualcosa di profondamente arcaico e insieme modernissimo nell’impresa di Karl Bushby. Prendete un ex paracadutista britannico, oggi 56enne, e riavvolgete il nastro del tempo di 27 lunghissimi anni. Era il 1998, infatti, quando il nostro, dopo una scommessa con un gruppo di amici, prendeva una decisione un tantino estrema: compiere il giro del mondo a piedi, senza mai salire su un aereo o su una nave, senza mai interrompere la continuità del suo cammino. Ventisette anni dopo, con oltre 50mila chilometri percorsi, deserti e giungle attraversati, ghiacci e mari sfidati, la sua “Goliath Expedition” - questo il nome che ha selezionato - è ormai prossima alla conclusione: gli restano circa 1500 chilometri prima di rientrare a Hull, la città inglese che si era dato come meta finale milioni di giorni fa.
La sua è una vicenda che interseca avventura, ostinazione e resistenza. Bushby parte il 1° novembre 1998 da Punta Arenas, piena Patagonia cilena, con l’idea di completare il giro in dodici anni. Ne sono passati più del doppio, perché la realtà si è incaricata di complicare i suoi piani: visti negati, guerre, pandemie, crisi economiche, sponsor ritirati. Sì perché uno si chiede: ok, ma come è sopravvissuto? La sua impresa ha attirato fin da subito aziende private pronte a sostenerlo, che si sono moltiplicate quando i social sono entrati in tackle nella storia. Bushby ha rischiato di dover deporre le armi in molteplici occasioni. Ogni volta, però, ha ripreso il cammino dal punto esatto in cui lo aveva interrotto, fedele alla regola che si era imposto: nessun mezzo motorizzato, solo le sue gambe.
Un viaggio costellato di prove estreme
Il viaggio di Bushby è tappezzato di episodi che sembrano usciti da un romanzo d’avventura. Nel 2006, per attraversare lo stretto di Bering, sfrutta le piattaforme di ghiaccio. A un certo punto si ritrova a 45 chilometri dalla costa, trasportato alla deriva da una lastra instabile: viene salvato da un elicottero, ma non rinuncia alla sua impresa. In Russia viene arrestato per essere entrato da un punto non autorizzato; rimane due mesi in prigione prima di essere liberato, grazie – racconta suo padre – all’intervento di Roman Abramovich, allora governatore della regione. Non meno epico il passaggio del mar Caspio, nell’estate del 2024: 31 giorni di nuoto, 132 ore complessive, quasi 300 chilometri da una sponda all’altra, dal Kazakistan all’Azerbaijan, assistito da due barche di supporto. Un’impresa che da sola basterebbe a consacrarlo tra i grandi esploratori contemporanei. Non sono mancati i momenti di stallo. In Messico Bushby trascorre due anni in attesa di permessi. Attraversare il Darién Gap, la giungla che separa Panama e Colombia, diventa un’altra prova estrema: vegetazione impenetrabile, animali pericolosi, sospetti di immigrazione clandestina che gli valgono venti giorni di detenzione. Ogni passo, insomma, è stato guadagnato con fatica.
Un'impresa folle che assume senso camminando
Oggi Bushby cammina in Europa orientale, diretto verso la Francia e poi il Regno Unito. Quando arriverà a Hull, avrà attraversato quattro continenti, venticinque paesi, sei deserti, sette catene montuose e un mare ghiacciato. “Mi fa strano pensare di tornare a casa dopo così tanto tempo – ha detto – non so bene cosa aspettarmi: ritrovare la mia famiglia significherà anche conoscerla di nuovo”. In un mondo che viaggia animato da una frenesia corrosiva, il suo è anche un atto di resistenza, un elogio della lentezza e della continuità. In un’epoca in cui tutto si consuma rapidamente, Bushby ha scelto di misurare il pianeta con il passo umano, di ridare al viaggio la sua dimensione originaria: fatica, tempo, incontro.
Il suo messaggio: "Non prendete scorciatoie nella vita"
Oggi c'è già chi paragona la sua avventura alle grandi esplorazioni del passato. Ma Bushby non cerca gloria né primati: vuole dimostrare che "è possibile attraversare il mondo e la vita senza scorciatoie", che la determinazione può piegare anche gli ostacoli più duri. La sua “Goliath Expedition” diventa un manifesto: non per forza bisogna vivere adeguandosi alle regole imposte della società. Quel che più conta è seguire il ritmo dei propri passi, fino alla prossima meta.
