Elly alla prova delle correnti. Riformisti tentati dallo scisma

Scritto il 14/12/2025
da Augusto Minzolini

Oggi la Direzione, Bonaccini entra nella maggioranza Ma i centristi ammettono: "Guardiamo anche fuori"

Arturo Parisi, il consigliere di Prodi inventore dell'Ulivo, fotografa così la condizione del Pd: "Il dibattito interno latita. Gli organismi lavorano all'insegna dell'unanimismo. C'è un problema di democrazia interna che riguarda tutti i partiti. Il Pd attuale non ne è immune, anzi è figlio del fenomeno. Le proposte diventano auspici non innescano mai un meccanismo decisionale". Oggi a un anno esatto dall'ultima volta l'assemblea nazionale del partito torna a riunirsi, ma ha tutta l'aria di una kermesse inventata per controbilanciare sul piano mediatico Atreju di Fratelli d'Italia: si era parlato di un congresso, si ipotizzano le primarie di coalizione, ma gira che ti rigira sono appuntamenti che si trasformano in riti. Latitano invece le sedi per un confronto vero di cui la sinistra avrebbe estremo bisogno. Paradossalmente gli organismi dirigenti si riunivano più con Matteo Renzi, accusato di cesarismo, che non con Elly Schlein. Se chiedi a Graziano Delrio, che non è l'ultimo venuto, dei temi di cui si parlerà, ti risponde con una punta di ingenuità: "Francamente non lo so".

Una ragione c'è. Il Pd si è trasformato nel "partito del quieto vivere" ogni argomento spinoso, foriero di guai interni e di polemica con i potenziali alleati (i 5 Stelle) viene esorcizzato, rimosso, abbandonato. La proposta di legge di Delrio sull'antisemitismo viene bloccata e sottoposta a un laborioso e perpetuo processo di revisione. La manifestazione di Filippo Sensi, riformista intransigente, che puntava a trasformare la solidarietà all'Ucraina in un banco di prova per l'europeismo, è lasciata morire così, senza un perché. O meglio il perché c'è e te lo spiega, Stefano Graziano, esponente del correntone di Montepulciano che sfoggia il linguaggio cinico caro ai dorotei di una volta: "Una manifestazione sull'Ucraina ora a che servirebbe, a che pro?". Come se non fossimo arrivati al momento cruciale del conflitto. "Sono amareggiato - confessa Filippo Sensi - perché sulla proposta non hanno detto né A, né B. È finita su un binario morto. Quasi che l'Europa fosse un tema divisivo visto che i grillini sono riottosi sull'argomento. Così non vai da nessuna parte". Certo bisognerebbe alzare la voce pure con gli alleati ma non è nelle corde della classe dirigente di questo Pd. Francesco Tempestini che partecipò alla fondazione del partito con Veltroni rappresentando gli ex-socialisti azzarda una fotografia: "All'epoca - ricorda - ci fu il tentativo di fondere culture diverse. Oggi è un magma di correnti senza cultura politica in cui governa Franceschini che è il più bravo di tutti nel gioco delle correnti. I riformisti restano dentro nella speranza di essere rieletti, ma non lo saranno perché al segretario è stato dato il potere di candidare chi vuole: così un partito nato all'insegna del democraticismo pure nel nome è diventato il partito più antidemocratico che esista". Giudizio severo, ma è anche vero che l'elenco delle correnti del Pd è infinito. Sono più di quelle che animavano la Dc. In più il confronto non avviene sui temi, prevale l'appartenenza al gruppo in una logica di autotutela per garantirsi il posto. Tant'è che Bonaccini ha annunciato che entrerà nella maggioranza della Schlein non in direzione ma da Massimo Giletti. Motivazione? Insinua un leader riformista deluso: "Era in maggioranza da due anni e mezzo e ha congelato la minoranza. Per cui non cambia niente al massimo Alfieri farà il vicesegretario o De Luca figlio il responsabile mezzogiorno in una segreteria che non si riunisce mai". Osserva con un pizzico di sarcasmo, Matteo Orfini: "La scuola emiliana è pragmatica, privilegia l'unità".

Se il confronto però ha come oggetto solo gli organigrammi addio ai contenuti riformisti. Il bonacciniano Alessandro Alfieri non è d'accordo: "Siamo stati con un piede dentro e uno fuori dalla maggioranza ma nel Pd movimentista conti solo sei dentro. Alla Schlein abbiamo detto veniamo ma per contare. Lei ha risposto di sì". "Contare": tradotto significa avere ruoli, poltrone, la polizza di una ricandidatura. Alfieri si lascia andare anche ad una valutazione originale: "Magari si conta di più con un pezzo di riformisti dentro e uno fuori".

Solo che sotto sotto, visto che è persona seria, comprende che così il patrimonio riformista diventa più rarefatto e il campo largo rischia di avere meno appeal presso un certo elettorato. Tanto che ammette: "Se fuori dal Pd nascesse una forte leadership in un soggetto riformista molti dei miei la seguirebbero. Aiuterebbe a vincere le elezioni. Come sarebbe il caso di dare più voce ai territori dove i riformisti sono forti. Io nella trattativa sulla legge elettorale porrei solo una pregiudiziale: il ritorno alle preferenze". Magari è il nocciolo dell'intesa con la Schlein.